Elezioni Consigli dell’Ordine degli Avvocati: e se la soluzione fosse nella gradazione dei posti in lista?

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Il rigetto a firma del Presidente del T.A.R. Lazio, Luigi Tosti, della richiesta di provvedimento monocratico su alcuni ricorsi volti ad impugnare la legittimità del “Regolamento sulle modalita’ di elezione dei componenti dei consigli degli ordini circondariali forensi, a norma dell’articolo 28 della legge 31 dicembre 2012, n. 247“, è di strettissima attualità per tutta la classe forense.

Ma cosa dice il Regolamento e perchè contestato?

Ai sensi dell’art. 28, comma 3, della L.n. 247/2012 “ciascun elettore puo’ esprimere un numero di voti non superiore ai due terzi dei consiglieri da eleggere, arrotondati per difetto“. In altre parole se i consiglieri da eleggere saranno 21, solo 14 potranno essere le preferenze espresse, rispettando, vedremo, l’equilibrio tra i generi.

Il comma 2 del medesimo articolo chiarisce che “i componenti del consiglio sono eletti dagli iscritti con voto segreto in base a regolamento adottato ai sensi dell’articolo 1 e con le modalita’ nello stesso stabilite. Il regolamento deve prevedere, in ossequio all’articolo 51 della Costituzione, che il riparto dei consiglieri da eleggere sia effettuato in base a un criterio che assicuri l’equilibrio tra i generi“.

Tutto il meccaniscmo elettorale passa quindi dal Regolamento in parola che, però, sembra essere in non perfetta assonanza con la norma primaria.

Ai sensi dell’art. 7 del Regolamento, infatti, è disposto che “le liste possono recare le indicazioni dei nominativi fino a un numero pari ai consiglieri da eleggere” e “ogni scheda elettorale, che contiene un numero di righe pari a quello dei componenti complessivi del consiglio da eleggere e l’eventuale raggruppamento in liste è preventivamente firmata…”.

Da quanto sembra consentire il Regolamento, quindi, le liste possono essere formate da un numero di candidati pari, nel nostro esempio, a 21, sempre nel rispetto dei generi.

“Il voto”, prevede l’art. 9, comma 4, “e’ espresso attraverso l’indicazione del nome e cognome degli avvocati candidati, ovvero attraverso l’indicazione della lista; in tale ultima ipotesi, il voto attribuito alla lista e’ computato, in sede di scrutinio, come espressione di voto a favore di ognuno dei componenti della lista”.

In ipotesi di liste formate da 21 candidati ed espressione di voto alla sola lista, quindi, la preferenza verrebbe accordata a 21 candidati anzichè a un massimo “di due terzi dei consiglieri da eleggere, arrotondati per difetto”.

Ora, prima di essere così certi che il Regolamento sia illegittimo e che la tornata elettorale venga invalidata, a parere di chi scrive, è opportuno uno sforzo interpretativo costituzionalmente e legislativamente orientato, anche al fine di salvaguardare la validità dei provvedimenti adottati.

A chi scrive, in altre parole, non pare così immediato che il Regolamento sia illegittimo e, soprattutto, che le conseguenze di un’eventuale illegittimità siano così deflagranti.

Sulla vicenda di merito, essendoci i giudizi pendenti, pare che la posizione più corretta sia quella di attendere la posizione del T.A.R. giacchè, anche in carenza della possibilità di conoscere i vizi di ricorso spiegati, sarebbe assai arduo commentare le ragioni dell’una o dell’altra parte. E’ possibile sin d’ora, tuttavia, delineare alcuni scenari futuri in termini strettamente processuali e procedimentali.

In primis non tutte le tornate elettorali sono, tout court, da annullare ben potendo esservi liste che rispettano la parità di genere e sono formate da un numero massimo di candidati pari a “due terzi dei consiglieri da eleggere“.

In secondo luogo, allo stato, prima cioè dell’espressione del voto, è assai dubbia l’esistenza dell’interesse a ricorrere in capo alle Associazioni di categoria forense o ai singoli candidati e, perchè no, alle liste perfettamente conformi alla superiore lettura del Regolamento.

Solo l’urna, infatti, potrà confermare l’effettiva illegittimità dell’espressione del voto e, di seguito, la concreta conseguenza di tale illegittimità con riferimento al risultato elettorale (anche ai fini del noto scrutinio della c.d. prova di resistenza).

Ciò che vogliamo dire, in altre parole, è che in fase di spoglio, potrebbe verificarsi che, pur in presenza di voti espressi a favore di una lista non conforme all’art. 28 comma 3, il risultato elettorale potrebbe non cambiare e i ricorrenti, potenzialmente lesi da tale meccanismo, potrebbero subire l’inammissibilità dell’azione giudiziale per mancato superamento della prova di resistenza. Per essere chiari, se i voti espressi alla lista “non conforme al Regolamento” fossero in numero 10 e i ricorrenti esclusi per 100 voti, i risultati elettorali sarebbero addirittura salvi.

Ciò, a ben vedere, potrebbe persino adombrare dubbi sulla legittimazione attiva alla contestazione del Regolamento ove non concretamente seguita dall’impugnativa degli atti del procedimento elettorale; sempre nell’ottica, ovviamente, dell’interpretazione di tale Regolamento come, solo astrattamente, da porsi in inconciliabile antitesi rispetto all’art. 28, comma 3, della L.n. 247/12.

Un’altra interpretazione legislativamente orientata, infine, consentirebbe di mantere la legittimità del Regolamento e sposterebbe nei poteri del Seggio elettorale, la valutazione dell’espressione di voto. In ipotesi di voto espresso solo nei confronti della lista non conforme all’art. 28, il Seggio potrebbe ritenere validamente attribuito il voto ai soli primi 14 candidati della lista stessa – sempre che in fase di presentazione anche tale gradazione abbia rispettato il criterio di genere – in analogia con quanto avviene con i c.d. “listini bloccati”.

Di fatto, ove le liste fossero presentate e sottoscritte dai candidati nella consapevolezza di tale gradazione, “ciascun elettore” potrebbe, “esprimere un numero di voti non superiore ai due terzi dei consiglieri da eleggere, arrotondati per difetto“, senza alcuna lesione dell’art. 28.

E’ certo che un più attento coordinamento avrebbe forse evitato ma non pare affatto scontato che, pur in ipotesi di dichiarata illegittimità del Regolamento, gli effetti sulle elezioni siano deflagranti.

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