Il TAR Catania ha annullato la deliberazione del Consiglio comunale della città di Messina con la quale si era decisa la liquidazione di una Società Pubblica in house istituita per la valorizzazione del patrimonio immobiliare della città di diversi milioni di euro
Il civico consesso, nell’ambito della delibera annuale di revisione delle partecipazioni dell’Ente locale, aveva ritenuto che il presupposto che la Società in house fosse da dismettere in quanto riteneva sussistente il presupposto di cui al comma 2, lett. b), dell’art. 20 D. Lgs. n. 175/16 a mente del quale può provvedersi alla liquidazione delle “società che risultino prive di dipendenti o abbiano un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti”.
La Società innanzi al TAR aveva sostenuto l’erroneità della decisione del Consiglio comunale in ragione del fatto che il riferimento normativo al numero dei dipendenti posseduti deve far riferimento non solo a quelli regolarmente assunti ma anche a quelli gestiti in distacco e/o in comando ma comunque utili alla gestione dell’attività sociale ed il difetto di istruttoria e motivazione circa l’effettiva impossibilità di individuare un “piano di riassetto per la loro razionalizzazione” alternativo rispetto alla messa in liquidazione.
Il TAR ha preliminarmente superato la questione di giurisdizione sollevata dal Comune chiarendo che la clausola compromissoria tipica degli Statuti delle partecipate in house non può trovare applicazione in quanto la scelta di liquidazione “involge posizioni di interesse
legittimo finalizzato al corretto esercizio del potere da parte della società, la quale fa per l’appunto valere un interesse legittimo come aspirazione al conseguimento o al mantenimento di un bene o di una utilità in conseguenza dell’azione amministrativa (in tal caso al mantenimento in vita della società) a fronte dell’esercizio del detto potere autoritativo” e nel merito ha ritenuto fondati i vizi dedotti. “A tal riguardo, la giurisprudenza contabile ha in effetti chiarito che “da un punto di vista sostanziale, l’utilizzo effettivo presso la società di risorse umane nella forma di dipendenti distaccati non sembra apparire in contrasto con la finalità del parametro legislativo espresso dalla lett. b), inteso ad individuare, nell’assenza di dipendenti o nell’esorbitanza del numero di amministratori rispetto ai dipendenti,
un elemento di inefficienza aziendale, determinante la necessità di razionalizzazione” (Corte dei Conti. Sez. Contr. Reg. Emilia Romagna, n. 97/2021). Ne consegue che, come correttamente ritenuto dalla ricorrente, il Comune avrebbe dovuto considerare ai fini del detto art. 20 anche il personale in distacco o comando in servizio presso la società, ma, in ragione dell’assenza di motivazione, non è possibile verificare se il detto emendamento l’abbia considerato ai fini del computo”.
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