Terzo condono in Sicilia: la Corte Costituzionale fa il punto sulle condizioni di applicabilità. Vi spieghiamo cosa fare in caso di rigetto del nulla osta.

La Corte Costituzionale con la sentenza 252/2022 ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 1, co. L.R. n. 19/2021 con il quale veniva data, stando alla lettera della norma, “interpretazione autentica” al disposto dell’art. 24 L.R. n. 15/2004.

La norma cassata, in sintesi estendeva l’applicabilità del c.d. “terzo condono” anche per quelle opere realizzate in aree sottoposte a vincoli di inedificabilità relativa, a dispetto invece di quanto previsto dalla norma “nazionale”, ossia l’art. l’art. 32, comma 43 D.L. n. 269/2003.

La suddetta disposizione ha trovato recepimento nella Regione Siciliana, che in materia urbanistica ha una competenza esclusiva, attraverso l’art. 24, L. r. n. 15/2004 a mente del quale “dalla data di entrata in vigore della presente legge è consentita la presentazione dell’istanza per il rilascio della concessione edilizia in sanatoria ai sensi dell’art. 32 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con legge 24 novembre 2003, n. 326 e successive modificazioni e integrazioni”.

Sin dalla sua prima applicazione è stato più volte posto il problema di quale fosse l’effettivo ambito di applicazione della disposizione nazionale nella Regione Siciliana, tenendo in considerazione che la surriferita norma è intervenuta in maniera incisiva sulla normativa urbanistica statale, modificando radicalmente i presupposti previsti dai precedenti condoni per il rilascio delle concessioni edilizie in sanatoria.

La questione principale, infatti riguardava la condonabilità, ex art. 32, anche gli immobili ricadenti in aree sottoposte ai c.d. vincoli “relativi”, giacché, il comma 27, lett. d) della surriferita disposizione esclude dal novero degli abusi sanabili quelli che “siano stat[i] realizzat[i] su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici”.

Per risolvere la questione era quindi necessario verificare se il recepimento dell’art. 32 D.L. n. 269/2003, operato dall’art. 23 L. r. n. 15/2004 fosse stato integrale ovvero se esso avesse riguardato solamente il condono edilizio, inteso nella sua portata di applicazione massima, escludendo le modifiche apportate alla disciplina urbanistica previgente.

In particolare, il nocciolo della questione riguardava la circostanza che l’art. 32, comma 43 D.L. n. 269/2003 aveva sostituito integralmente l’art. 32 della L. n. 47/1985 lasciando inalterato il successivo art. 33, mentre in Sicilia la L. n. 47/85 è stata recepita dalla L. r. n. 37/85, il cui art. 23 ha sostituito, sostanzialmente fondendoli, gli art. 32 e 33 della disciplina nazionale, tanto da essere rubricato “32-33.Condizioni di applicabilità della sanatoria”.

Ebbene poiché, come già detto, l’art. 32 D.L. n. 269/2003 aveva apportato delle modifiche alla L. n. 47/85, divenuta normativa regionale a seguito del recepimento operato dalla L. R. n. 37/85, bisognava verificare se tali modifiche avessero inciso anche l’art. 23 L. R. n. 37/85.

Il C.G.A. aveva affrontato e risolto il problema  opinando nel senso di ritenere che “nessuna novella può ritenersi operata dal sopravvenuto art. 32 del D.L. n. 269/2003 per le seguenti ragioni di ordine formale e sostanziale:

a)Sotto il profilo formale perché il comma 43 dell’art. 32 del D.L. n. 269/2003 ha sostituito l’art. 32 della legge 47/1985, che però non esisteva in Sicilia del c.d. primo condono, dall’unico art. 32-33; il quale articolo, peraltro, non può considerarsi, a sua volta oggetto della novella del 2003, giacché diverso per nome rispetto alla disposizione nazionale che il legislatore ha inteso novellare;

b) sotto il profilo sostanziale, perché, ove si opinasse diversamente si perverrebbe all’assurdi risultato che […] la novella del 2004 avrebbe interessato l’intero art. 32-33 (l’unico vigente in Sicilia) sostituendolo con il nuovo testo dell’art. 32 della L. n. 47/85 che è stato introdotto in Italia nel 2003 e dunque con il corollario che detta novella avrebbe riguardato anche l’art. 33 (non vigente autonomamente in Sicilia), ovviamente travolgendolo [..] laddove invece la perdurante e autonoma vigenza di detto art. 33 è ineluttabilmente postulata dal novellato art. 32” (C.G.A. Sez. Un. Par. 13 gennaio 2013, n. 697/2010).

Pertanto in Sicilia, secondo quello che era l’orientamento espresso dalla Giurisprudenza amministrativa, il condono del 2003 anche se riguardava immobili edificati su aree sottoposte a vincoli relativi, doveva essere rilasciato purché sussistessero le condizioni previste dall’art. 23 L. R. n. 37/85 che, come già detto, ha racchiuso quanto disposto dagli artt. 32 e 33 della L. n. 47/85.

L’orientamento assolutamente consolidato del G.A. ha così indotto il legislatore regionale ad introdurre l’art. 1, co. 1 L.R. n. 19/202, secondo cui “l’articolo 24 della legge regionale 5 novembre 2004, n. 15 si interpreta nel senso che sono recepiti i termini e le forme di presentazione delle istanze presentate ai sensi all’articolo 32 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni  dalla  legge 24  novembre  2003, n. 326,  e  pertanto  resta  ferma l’ammissibilità delle istanze presentate per la regolarizzazione delle opere realizzate nelle aree soggette a vincoli che non comportino inedificabilità assoluta nel rispetto di tutte le altre condizioni prescritte dalla legge vigente”.

La prassi vigente trovava finalmente codificazione.

Tuttavia la Corte Costituzionale, a seguito di ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, con la sentenza n. 252/2022 ha dichiarato l’illegittimità della censurata disposizione.

In particolare, la Consulta ha rilevato che essa, lungi dal costituire una norma di interpretazione autentica, aveva invece un effetto innovativo giacché consente, retroattivamente, di ampliare i termini di applicabilità del terzo condono, rendendolo praticabile anche per quelle opere realizzate in aree sottoposte a vincolo di inedificabilità relativa.

Sul punto, la Corte ha evidenziato che “ è ben vero che la disposizione impugnata, nella sua portata innovativa, è espressione della competenza statutaria primaria della Regione Siciliana nelle materie dell’urbanistica e della tutela del paesaggio (art. 14, primo comma, lettere f ed n), tuttavia è altresì vero che essa, ai sensi dello stesso art. 14, deve essere esercitata «senza pregiudizio» delle riforme economico-sociali, che assurgono, dunque, a limite “esterno” della potestà legislativa primaria. Le “grandi riforme” sono quindi individuate, nel caso di specie, dal legislatore nazionale nell’esercizio delle sue competenze esclusive in materia di ambiente (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.).

Infatti, questa Corte ha più volte affermato che, in relazione alle competenze legislative di tipo primario previste dagli statuti speciali, lo spazio di intervento affidato al legislatore regionale, con riguardo alla disciplina del condono edilizio, è circoscritto – oltre che dal limite della materia penale – da «quanto è immediatamente riferibile ai principi di questo intervento eccezionale di “grande riforma” (il titolo abilitativo edilizio in sanatoria, la determinazione massima dei fenomeni condonabili)» (sentenza n. 196 del 2004; in senso conforme, sentenza n. 232 del 2017).

In riferimento al caso in esame, assurgono pertanto a norme di grande riforma economico-sociale le previsioni statali relative alla determinazione massima dei fenomeni condonabili, cui devono senz’altro ricondursi quelle che individuano le tipologie di opere insuscettibili di sanatoria ai sensi dell’art. 32, comma 27, del d.l. n. 269 del 2003, come convertito, incluso il limite di cui alla lettera d)”.

Appare evidente la portata dirompente della suddetta pronuncia: tutti coloro che da quasi venti anni attendevano, fiduciosi il completamento dei procedimenti di condono edilizio oggi vedono frustrate le loro legittime aspettative giacché tutti le amministrazioni titolari di poteri governo sui vincoli relativi, si vedranno costrette a rigettare le richieste di nulla osta inoltrate in seguito alle istanze di condono.

L’impugnazione delle predette determinazioni costituisce condizione essenzile per evitare che poi la richiesta di condono venga definitivamente rigettata. Le strade da seguire sono, essenzialmente, due: il rimedio giustiziale rappresentata dal ricorso gerarchico, da inoltrare all’autorità sovraordinata, oppure direttamente il ricorso al T.A.R.

Al di là delle differenze di costo –  il ricorso al T.A.R presuppone il pagamento del contributo unificato –  i due rimedi sono sostanzialmente diversi giacché il ricorso gerarchico avvia un procedimento amministrativo che si conclude con un decreto, di rigetto o di accoglimento il quale può a sua volta essere oggetto di impugnazione innanzi agli organi giurisdizionali, al contrario con il ricorso al T.A.R. si avvia un’azione giurisdizionale caratterizzata dalla tipica dialettica processuale che, ovviamente, con il ricorso gerarchico manca del tutto.

 

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