Ad ogni caso di doping nel mondo dello sport, seguono reazioni importanti soprattutto quando ad essere coinvolti sono i protagonisti assoluti di quel mondo. Tutti gli appassionati e gli addetti ai lavori ricordano i casi di Pantani, Maradona e Alex Schawazer il campione olimpico di Pechino 2008 che ha scontato una squalifica di otto anni per doping proclamandosi sempre innocente e ricorrendo a tutte le Autorità giudiziarie planetarie. Il mondo del tennis, la cui popolarità è in continua crescita, ha già avuto in passato più di un caso eclatante (da Wilander ad Agassi, da Korda (papà) a due capitani di Davis che abbiamo seguito qualche settimana fa nelle finals di Malaga che hanno incoronato l’Italia campione del mondo (Coria e Volandri), sino a Cilic, Sara Errani, Martina Hingis, Sharapova e Halep.
Queste ultime, proprio come Swiatek ex numeri 1 al mondo WTA.
Il caso “Iga” ha davvero dell’incredibile e, da giurista, non posso che mostrarmi davvero preoccupato giacchè, sulla base dei parametri che hanno convinto la fuoriclasse polacca ad accettare un mese di squalifica, non v’è professionista sportivo che può sentirsi sereno recandosi ad un ordinario controllo antidoping.
La n. 2 al mondo, difatti, il 12 agosto, poco prima di competere a Cincinnati, è stata trovata positiva ad un controllo antidoping su uno dei due campioni prelevati e preso atto di tale esito è stata sospesa il 12 settembre (un mese dopo). Ha chiesto che anche il secondo campione a suo tempo prelevato fosse analizzato e, ottenuto il medesimo esito, la sospensione è stata confermata (il 19 settembre).
La giocatrice, dunque, nell’immediatezza (siamo al 22 settembre) ha dichiarato di non sapere come la sostanza proibita (TMZ) fosse entrata nel suo corpo ed il Tribunale (il 25 settembre) non ha potuto che confermare la sospensione. Il 26 sera Iga e il suo staff, un pò come ha fatto Sinner in tempi ancora più ristretti stante in quel caso degli indizi più chiari, riuscivano ad individuare un’ipotesi che spiegasse la presenza di una sostanza vietata nel suo corpo.
Ricostruendo i farmaci utilizzati in quel periodo, difatti, la giocatrice incaricava degli esperti di analizzarli. Dai risultati emergeva che un prodotto a base di melatonina (LEK-AM Melatonina 1 mg, in foto) che aveva utilizzato per affievolire l’insonnia da jet leg, fosse contaminato da TMZ.
Tale contaminazione, si badi bene, non era stata causata dalla giocatrice o dal suo staff ma dalla stessa casa farmaceutica in fase di produzione.
L’ITIA, difatti, ha potuto accertare, per il tramite di uno dei principali laboratori accreditati dalla WADA per l’analisi di prodotti contaminati, la bontà di tale ipotesi in astratto e, avuta conferma, ha chiesto i campioni per analizzarli.
Iga ha quindi spedito (io li avrei portati a piedi come in un cammino di Santiago sotto scorta) tali preziosissimi campioni (senza i quali la giocatrice avrebbe rischiato da 2 a 4 anni di squalifica) e in particolare:
(1) il resto del contenitore aperto del Prodotto LEK-AM che il Giocatore aveva utilizzato prima della raccolta del campione e
(2) un contenitore sigillato del Prodotto LEK-AM dello stesso lotto utilizzato dal Giocatore prima della raccolta del campione.
L’ITIA, a sua volta, ha cercato di procurarsi in modo indipendente un contenitore dello stesso lotto, ma senza riuscirvi anche in quanto il Produttore non gli ha mai risposto (anche in tal caso mi sarei recato a piedi presso la Ditta farmaceutica polacca).
Il fatto, tuttavia, ha aiutato Iga giacchè ITIA ha potuto verificare che il contenitore sigillato (che per mera causalità la giocatrice aveva ancora in tale forma) proveniva dallo stesso lotto di quello utilizzato dal Giocatore (i numeri di lotto corrispondevano) e il contenitore sigillato aveva un sigillo antimanomissione.
Le analisi hanno concluso che la contaminazione effettivamente rinvenuta era compatibile con le tracce trovate nelle urine della giocatrice.
La ex numero 1 al mondo, in sintesi, ha rischiato la carriera (e la vita sportiva) perchè una casa farmaceutica confezionando un prodotto (privo di qualsiasi rilievo dopante) lo ha contaminato con altre sostanze (dopanti) prodotte nello stesso stabilimento.
Se ciò, come accaduto, da vita a responsabilità del giocatore obbligandolo, come si legge in sentenza, a precauzioni tali da verificare, autonomamente, la potenziale contaminazione di ogni prodotto, farmaceutico e non, ingerito, il rischio è davvero di un collasso del sistema. La lotta al doping è sacrosanta, far vivere gli atleti nel terrore ed imporgli una filiera di controllo sui contatti e prodotti da ingerire, insostenibile.
Nonostante ITIA abbia accertato che
– “il Prodotto stesso era stato fabbricato da una rispettabile azienda farmaceutica locale regolamentata in un paese dell’Unione Europea (e non c’era motivo per la Giocatrice di sospettare una contaminazione perché, ad esempio, non ci sono articoli pubblicati online che dimostrino che ci siano state contaminazioni di questo farmaco o casi antidoping pubblicati che coinvolgono questo farmaco)”;
– la stessa giocatrice avesse “utilizzato il Prodotto senza problemi per molti anni“
– e “c‘è molto poco, se non nulla, che avrebbe potuto fare per evitare di ingerire una sostanza proibita data l’inaspettata contaminazione di un prodotto farmaceutico“.
Tuttavia, lo stesso Tribunale arriva ad affermare che “è “responsabilità personale” “assumersi la responsabilità di ciò che usa“, “effettuare ricerche su qualsiasi prodotto o sostanza che intende usare per garantire che il loro utilizzo non costituisca o comporti una violazione delle norme antidoping” e “assicurarsi che qualsiasi trattamento medico ricevuto non violi questo Programma“.
Ma ciò vuol dire dubitare di un sistema di controllo a monte sul commercio di farmaci e parafarmaci (che dovrebbero per definizione essere controllati dalle autorità competenti prima di essere immessi nel mercato) “dovendo accertarsi che tali prodotti siano “stati sottoposti a test in lotti per scopi antidoping“, introducendo una norma di precauzione assai invasiva sconosciuta all’ordinamento e, soprattutto, al mercato.
Non solo, difatti, non risulta che ci siano delle procedure atte ad evitare contaminazioni (che sono una anomalia del confezionamento) tanto che le istruzioni non indicano affatto diciture in tal senso (questo prodotto è confezionato in stabilimenti ove vi sono sostanze dopanti etcc), ma non pare realizzabile che una tale garanzia, per il consumatore sportivo, si rintracci nei posti più disparati del globo ove ci trovi a viaggiare durante le competizioni (o si possa ancora pretendere conoscenza sulla serietà delle case farmaceutiche). Men che meno con analoghe possibilità di accesso a tali garanzie per tutti gli sportivi (soprattutto per chi non ha le strutture di assistenza da Top 10 come nel caso di Iga).
Sostenere, come ha fatto ITIA, che “la Giocatrice sapeva, e si ritiene che sia stata specificamente informata, che c’è un rischio significativo che i prodotti possano contenere sostanze proibite che non sono elencate come ingredienti”, appare davvero argomento che provi troppo ed anzi sia davvero abnorme. Così come abnorme è avere a disposizone un laboratorio ispettivo di tutti i prodotti prima di ingerirli. Perchè è questo quanto arriva a pretendere l’ITIA: “sebbene non ci fossero molti passaggi a disposizione della Giocatrice per evitare la violazione, avrebbe potuto selezionare un prodotto a base di melatonina che è stato sottoposto a test in lotti per scopi antidoping e/o in alternativa avrebbe potuto far testare lei stessa il lotto del Prodotto“.
Il ragionamento sul controllo che fa l’ITIA, peraltro, sembra contrastare con il caso concreto. Se è vero, infatti, che “la melatonina non è universalmente considerata un farmaco e di conseguenza è regolamentata in modo diverso nelle diverse giurisdizioni. Ad esempio, negli Stati Uniti è considerata un integratore alimentare meno regolamentato, non un farmaco. Questo stato variabile a livello internazionale rende la melatonina potenzialmente più rischiosa per gli atleti rispetto ai farmaci universalmente riconosciuti (ad esempio, quelli progettati per trattare gravi condizioni mediche) ma più rischiosa rispetto agli integratori sportivi, alle vitamine e ad altri prodotti” – nella specie il prodotto è stato confezionato in Polonia e da una primaria casa farmaceutica da cui ci si aspetta massimo rigore.
La tesi, così rigida, dell’ITIA, a fronte di un errore obiettamente impossibile da prevedere per la giocatrice e che, quotidianamente, può accadere nelle più disparate attività quotidiane anche differenti dall’assunzione di farmaci e parafarmaci, impone una riflessione più ampia giacchè il rischio che si puniscano comportamente totalmente inconsapevoli diventa davvero altissimo e la ratio delle norme antidoping non è affatto questo.