TRIBUNALE: È CAUSATO DAL SERVIZIO IL TUMORE CONTRATTO IN SALA OPERATORIA. L’ORTOPEDIA DEL POLICLINICO DI MESSINA ERA GIÀ A RISCHIO RADIOLOGICO BEN PRIMA DEL 2016. INAIL DOVRÀ PAGARE INDENNITÀ E RISARCIMENTO.

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Aperto il vaso di pandora nel reparto di ortopedia e traumatologia del Policlinico di Messina, condannato l’Inail a riconoscere la malattia professionale ad un dirigente medico.

E’ quanto stabilito dal Tribunale del lavoro di Messina in un giudizio patrocinato dall’Avvocato Santi Delia proposto in difesa di un dirigente medico dipendente dell’Azienda che, in qualità di chirurgo, effettuava presso il reparto di ortopedia e traumatologia la media di 150 interventi all’anno.
Sino al 2014, tuttavia, l’Azienda non aveva ritenuto di classificare il reparto come soggetto a rischio radiologico ragion per cui tutti i dipendenti dello stesso, sino ad allora, non hanno fruito delle “protezioni di legge” dedicate ai lavorati che agiscono in tali contesti a rischio. Si tratta, in particolare, oltre ai riconoscimenti economici, del congedo biologico, della sorveglianza dosimetrica e delle visite periodiche di controllo, al personale medico e tecnico di radiologia per il quale sussiste una presunzione assoluta di esposizione a rischio. Al fine di evitare che il nostro organismo subisca gli effetti devastanti delle radiazioni, difatti, è imposto un congedo di ulteriori 15 giorni utili ad imporre l’allontanamento del lavoratore dai locali e dagli strumenti potenzialmente pericolosi così da “disintossicarlo”.
Ebbene, dopo quasi 25 anni senza riconoscimento del reparto come tutelato tra quelli “a rischio radiologico”, solo nel 2016 l’Azienda forniva ai propri dipendenti strumenti (guanti, occhiali, giubbotti di protezione) volti alla protezione dal rischio radiologico cui erano esposti e classificava il reparto tra quelli beneficiari del “rischio radiologico”.
Ma che rischi alla salute hanno subito medici, infermieri e tecnici che per un ventennio hanno operato in tali condizioni?
Impossibile, avere un quadro generale pur se, purtroppo, uno dei primi casi emersi non lascia ben sperare.
Uno dei medici del reparto, difatti, proprio nel 2016, iniziava a soffrire di sintomi di astenia e diminuzione di resistenza allo sforzo fisico, e sottoponendosi ad esami ematochimici, gli venivano diagnosticati anemia, leucocitosi e piastrinopenia. In seguito appurava di essere affetto da “leucemia acuta mieloide megacarioblastica” che è una rara forma di leucemia.
Peraltro, trattandosi di un soggetto che mai aveva sofferto di antecedenti morbosi o traumatici di rilievo, risultava palese che la sua salute si fosse aggravata proprio a causa delle condizioni insalubri in cui doveva esercitare la propria attività professionale.
Ma, l’avere contratto una leucemia dopo 25 anni di esposizione alle radiazioni non era sufficiente per l’INAIL che, negava recisamente il riconoscimento della malattia professionale e della relativa rendita.

Così, con ricorso introitato al Tribunale del Lavoro di Messina, l’Avvocato Santi Delia impugnava il diniego reso illegittimamente dall’Inail secondo cui la patologia sofferta dal medico non poteva dirsi affatto dipendente da causa di servizio. In giudizio, tuttavia, la consulenza tecnica disposta dal Presidente del Tribunale Laura Romeo, smentendo la ricostruzione dell’Istituto nazionale di assistenza per gli infortuni sul lavoro confermava quanto ampiamente chiarito nel ricorso e nella perizia tecnica di parte del Medico Legale Giovanni Andò, tanto che, a conclusione dello stesso, l’Inail veniva condannato a riconoscere al ricorrente la malattia professionale nella misura del 60% ed a corrispondere tutti i ratei pregressi.
Secondo il Tribunale “a seguito di attenta ed accurata indagine”, da parte del C.T.U. e sulla base della copiosa documentazione in atti, non è dubbio “che tale patologia, riscontrata al periziato nel gennaio 2016, è ricollegabile ad un rischio lavorativo, emergente quale noxa patogena concasualmente valida, con alto grado di probabilità, a determinare l’insorgenza della patologia neoplastica. Ha, dunque, concluso ritenendo che l’infermità in oggetto è da riconoscere malattia professionale”.

Si tratta, commenta l’Avvocato Santi Delia, “di una sentenza che mira a fare da apri pista a numerosi altri casi in Italia. Sono numerose, difatti, le Aziende sanitarie che continuano a non adeguare i propri standard di taluni reparti alle normative europee (e non solo interne) a tutela dei lavoratori. Prima ancora che talune Aziende, difatti, è l’Italia ad essere in ritardo nell’aggiornamento degli standards di sicurezza. La Commissione europea, difatti, ad inizio 2019, ha inviato all’Italia un parere motivato (il secondo stadio della procedura di infrazione) per chiedere al nostro Paese di trasporre nel proprio ordinamento le nuove norme previste dalla direttiva Ue sugli standard basilari di sicurezza, che modernizza la legislazione europea in materia di protezione dalle radiazioni. La direttiva, che avrebbe dovuto essere tradotta in legge entro lo scorso 6 febbraio, delinea standard basilari di sicurezza per proteggere lavoratori, utenti e pazienti dai pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti, usate a scopi medici, ma anche industriali. Tali interventi, seppur oggi tardivi per taluno come il mio assistito nel caso trattato, possono salvare la vita a molti altri in futuro”

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