No al licenziamento del lavoratore che ha omesso di dichiarare la condanna penale.

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Il Tribunale di Messina accoglie il ricorso dell’Avv. Santi Delia riconoscendo il diritto del ricorrente a stipulare un contratto a tempo indeterminato con la Società pubblica resistente.

Il ricorrente, durante la compilazione online della domanda per partecipare al bando per titoli ed esami surriferito, aveva omesso di dichiarare una condanna penale. Aveva inoltre chiesto l’attribuzione di un punteggio sulla scorta di una certificazione che, per quanto poi appurato dalla Società pubblica, non era utile a conseguirlo.

A seguito della pubblicazione della graduatoria, l’Azienda, previo deposito delle certificazioni penali da cui, a contrario rispetto alla dichiarazione risultava una condanna, aveva provveduto comunque ad assumerlo, stante la posizione utile in graduatoria (anche grazie al punteggio di cui sopra).

Trascorsi svariati mesi dall’assunzione, tuttavia la Società pubblica approfondiva le ragioni dell’attribuzione dei punteggi e acclarava l’esistenza della condanna penale. Provvedeva, così, al licenziamento del lavoratore.

L’Avvocato messinese, sulla scorta di una personale rielaborazione della giurisprudenza sul tema della Cassazione e della Sezione Consultiva del Consiglio di Stato, riusciva a dimostrare come l’omissione di condanne penali e la non corretta dichiarazione del possesso di taluni titoli, non può condurre a conseguenze “espulsive” comminate ma, esclusivamente, ad una retrogradazione in graduatoria mediante la decurtazione del punteggio.

Ove, difatti, la condanna penale non sarebbe comunque utile a negare il diritto all’assunzione, non v’è ragione per ritenere che tale “falso innocuo” sia rilevante.

Nel caso di specie, dunque, atteso lo scorrimento naturale della graduatoria il ricorrente avrebbe ottenuto lo stesso il posto a tempo indeterminato.

Il Tribunale di Messina, conformandosi integralmente alle tesi sostenute dalla difesa, dopo un approfondimento di oltre 8 mesi e diverse udienze in fase cautelare, si è pronunciato riconoscendo il diritto del ricorrente a non essere espulso dalla graduatoria, in quanto, “il beneficio correlato all’utilizzazione dei titoli in parola era […] per l’originaria ricorrente, solo quello dell’accrescimento del punteggio, sicché, una volta acclarata la mendacità della dichiarazione al riguardo, la decadenza poteva essere solo quella della privazione del punteggio stesso con il conseguente ridimensionamento della posizione in graduatoria”.

Inoltre, ha specificato come, “la condanna a pena condizionalmente sospesa non può costituire in alcun caso, di per sé sola, motivo per l’applicazione di misure di prevenzione, né d’impedimento all’accesso a posti di lavoro pubblici o privati tranne i casi specificatamente previsti dalla legge, né per il diniego di concessioni, di licenze o di autorizzazioni necessarie per svolgere attività lavorativa”.

Si tratta di principi di notevole importanza tesi a rafforzare una giurisprudenza volta a tutelare la sostanza del diritto al lavoro superando l’erroneità e superficialità di taluni comportamenti in fase dichiarativa.