Tanto tuonò che piovve. Ma stavolta è davvero un cataclisma. L’Adunanza Plenaria sul de profundis delle concessioni demaniali.

Partiamo dalle cose semplici. Che cos’è il Catatumbo? E’ il temporale più potente della storia. In termini di paragone, a mio modo di vedere, le decisioni dell’Adunanza Plenaria nn. 17 e 18 del 2021 hanno un impatto davvero definitivamente dirompente su una vicenda che, da ormai un ventennio, a suo di proroghe nell’ultimo comma delle Leggi finanziarie, contraddistingueva il tema delle concessioni demaniali e, più in generale, di occupazione suolo. Un tema che, questo studio, segue da sempre e su più fronti.

In pillole proveremo a fornire qualche immediato chiarimento ai tanti cittadini che ci hanno chiesto supporto già in questa primissima fase.

Ma cosa ha deciso il massimo consesso dei Giudici Amministrativi?

Secondo l’Adunanza Plenaria “le norme legislative nazionali che hanno disposto (e che in futuro dovessero ancora disporre) la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative” – compresa l’ultima giustificata dall’emergenza COVID e che ha esteso al 2033 il termine di durata – “sono in contrasto con il diritto eurounitario, segnatamente con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE; tali norme, pertanto, non devono essere applicate né dai giudici né dalla pubblica amministrazione”(1).

Perchè sono in contrasto con il Trattato?

Perchè, tra le altre e complesse valutazioni tutte affrontate dalla Plenaria e che in pillole non è possibile ripercorrere, viola la concorrenza che è principio cardine delle norme UE. È “indiscutibile che il confronto competitivo, oltre ad essere imposto dal diritto dell’Unione, risulta coerente con l’evoluzione della normativa interna sull’evidenza pubblica, che individua in tale metodo non solo lo strumento più efficace per la scelta del miglior “contraente” (in tal caso, concessionario), cioè del miglior interlocutore della pubblica amministrazione, ma anche come mezzo per garantire trasparenza alle scelte amministrative e apertura del settore dei servizi al di là di barriere all’accesso. Inoltre, il confronto è estremamente prezioso per garantire ai cittadini una gestione del patrimonio nazionale costiero e una correlata offerta di servizi pubblici più efficiente e di migliore qualità e sicurezza, potendo contribuire in misura significativa alla crescita economica e, soprattutto, alla ripresa degli investimenti di cui il Paese necessita“. Senza gara e competizione (o analoghi strumenti), dunque, nulla potrà più essere affidato e prorogato.

Che ne sarà dei provvedimenti di concessione fin’ora emessi?

Come detto le attuali norme e i provvedimenti emessi “non devono essere applicate né dai giudici né dalla pubblica amministrazione“. Ciò vuol dire che la Legge sulla base della quale gli Uffici, ad oggi, hanno continuato, o già evaso, provvedimenti autorizzativi di proroga hanno emesso atti nulli destinati, in caso di contestazione, ad essere travolti da provvedimenti giudiziari che, come quello oggi adottato dall’Adunanza Plenaria, ne sanciscono l’annullabilità.

Ed infatti, chiarisce la Plenaria, “ancorché siano intervenuti atti di proroga delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative rilasciati dalla P.A. (e anche nei casi in cui tali siano stati rilasciati in seguito a un giudicato favorevole o abbiamo comunque formato oggetto di un giudicato favorevole)”. In ragione del fatto che la legge autorizzativa delle proroghe (e degli esiti giudiziali) è inquinata dal contrasto insanabile con le fonti comunitarie, “le concessioni già rilasciate debbano parimenti ritenersi tamquam non esset, senza che rilevi la presenza o meno di un atto dichiarativo dell’effetto legale di proroga adottato dalla P.A. o l’esistenza di un giudicato. Venendo in rilievo un rapporto di durata, infatti, anche il giudicato è comunque esposto all’incidenza delle sopravvenienze e non attribuisce un diritto alla continuazione del rapporto”. 

Cosa succederà?

Sino al 31 dicembre 2023 sostanzialmente nulla.

Dopo tale data Catatumbo spazzerà via la presenza dei precedenti concessionari a cui, nelle more, e dunque da qui ai prossimi due anni, il Legislatore e le Amministrazioni dovranno dare indicazioni per individuare le modalità di subentro di altri pretendenti in competizione.

Al fine di evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative in essere, nonché di tener conto dei tempi tecnici perché le amministrazioni predispongano le procedure di gara richieste e, altresì, nell’auspicio che il legislatore intervenga a riordinare la materia in conformità ai principi di derivazione europea, le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere continuano ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023, fermo restando che, oltre tale data, anche in assenza di una disciplina legislativa, esse cesseranno di produrre effetti, nonostante qualsiasi eventuale ulteriore proroga legislativa che dovesse nel frattempo intervenire, la quale andrebbe considerata senza effetto perché in contrasto con le norme dell’ordinamento dell’U.E.“. 
Sin da ora che eventuali proroghe legislative del termine così individuato (al pari di ogni disciplina comunque diretta a eludere gli obblighi comunitari) dovranno naturalmente considerarsi in contrasto con il diritto dell’Unione e, pertanto, immediatamente non applicabili ad opera non solo del giudice, ma di qualsiasi organo amministrativo, doverosamente legittimato a considerare, da quel momento, tamquam non esset le concessioni in essere“.

Perchè la proroga COVID al 2033 non può continuare a stare in piedi?

Perchè “non vi è quindi alcuna ragionevole connessione tra la proroga delle concessioni e le conseguenze economiche derivanti dalla pandemia, presentandosi semmai essa come disfunzionale rispetto all’obiettivo dichiarato e di fatto diretta a garantire posizioni acquisite nel tempo”.

Perchè anche gli Uffici devono, già da ora, disapplicare la Legge proroga sino al 2033 e seguire i principi della Plenaria?

L’Adunanza plenaria ritiene che “l’obbligo di non applicare la legge anticomunitaria gravi in capo all’apparato amministrativo, anche nei casi in cui il contrasto riguardi una direttiva self-executing. Opinare diversamente significherebbe autorizzare la P.A. all’adozione di atti amministrativi illegittimi per violazione del diritto dell’Unione, destinati ad essere annullati in sede giurisdizionale, con grave compromissione del principio di legalità, oltre che di elementari esigenze di certezza del diritto“.

E quindi non si deve passare neanche da una pronuncia della Corte Costituzionale che dichiari l’incostituzionalità della norma?

Esatto. “La legge nazionale in contrasto con una norma europea dotata di efficacia diretta, ancorché contenuta in una direttiva self-executing, non può essere applicata né dal giudice né dalla pubblica amministrazione, senza che sia all’uopo necessario (come chiarito dalla Corte costituzionale a partire dalla sentenza n. 170 del 1984) una questione di legittimità costituzionale”.

La Plenaria, difatti, ha escluso che a questo caso si applichi l’eccezione che impone il sindacato di costituzionalità in via incidentale su una legge nazionale anticomunitaria che, come è noto, è possibile solo se tale legge sia in contrasto con una direttiva comunitaria non self-executing oppure, secondo la recente teoria della c.d. doppia pregiudizialità, nei casi in cui la legge nazionale contrasti con i diritti fondamentali della persona tutelati sia dalla Costituzione sia dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (cfr., in particolare, Corte Cost., sentenze n. 289/2017, n. 20/2019, n. 63/2019, n. 112/2019).

L’Adunanza Plenaria ha la consapevolezza di incidere su interessi consolidati sull’affidamento di migliaia di interessati?

Purtroppo si. In questo quadro normativo proprio per tale ragione, l’Adunanza plenaria “ritiene allora che, a fronte di un quadro di incertezza normativa, sussistano i presupposti per modulare gli effetti temporali della propria decisone”.

Pertanto, l’Adunanza plenaria, consapevole della portata nomofilattica della presente decisione, della necessità di assicurare alle amministrazioni un ragionevole lasso di tempo per intraprendere sin d’ora le operazioni funzionali all’indizione di procedure di gara, nonché degli effetti ad ampio spettro che inevitabilmente deriveranno su una moltitudine di rapporticoncessori, ritiene che tale intervallo temporale per l’operatività degli effetti della presente decisione possa essere congruamente individuato al 31 dicembre 2023.

Scaduto tale termine, tutte le concessioni demaniali in essere dovranno considerarsi prive di effetto, indipendentemente da se vi sia –o meno- un soggetto subentrante nella concessione

Come saranno le gare?

Si tratta di temi che dovranno inevitabilmente essere affrontati dal Legislatore su cui la Plenaria si è limitata a generici riferimenti di massima. È interessante tuttavia accennare al tema del legittimo affidamento dei titolari di tali autorizzazioni, funzionale ad ammortizzare gli investimenti da loro effettuati.

La Plenaria ha ricordato che la Corte di giustizia ha constatato che “gli Stati membri possono tener conto, nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni legate a motivi imperativi d’interesse generale”, precisando che si possa tenere conto di tali considerazioni “solo al momento di stabilire le regole della procedura di selezione dei candidati potenziali e fatto salvo, in particolare, l’art. 12, paragrafo 1, di tale direttiva” e che comunque necessiti al riguardo “una valutazione caso per caso che consenta di dimostrare che il titolare dell’autorizzazione poteva legittimamente aspettarsi il rinnovo della propria autorizzazione e ha effettuato i relativi investimenti” (sentenza Promoimpresa). La Corte di giustizia ha del resto rinvenuto detta situazione rispetto a una concessione attribuita nel 1984, “quando non era ancora stato dichiarato che i contratti aventi un interesse transfrontaliero certo avrebbero potuto essere soggetti a obblighi di trasparenza”, esigendo che “la risoluzione di siffatta concessione sia corredata di un periodo transitorio che permetta alle parti del contratto di sciogliere i rispettivi rapporti contrattuali a condizioni accettabili, in particolare, dal punto di vista economico” (sentenza Promoimpresa). L’indizione di procedure competitive per l’assegnazione delle concessioni dovrà, pertanto, ove ne ricorrano i presupposti, essere supportata dal riconoscimento di un indennizzo a tutela degli eventuali investimenti effettuati dai concessionari uscenti, essendo tale meccanismo indispensabile per tutelare l’affidamento degli stessi.

Ecco perché andrebbero evitate ipotesi di preferenza “automatica” per i gestori uscenti, in quanto idonei a tradursi in un’asimmetria a favore dei soggetti che già operano sul mercato (circostanza che potrebbe verificarsi anche nell’ipotesi in cui le regole di gara consentano di tenere in considerazione gli investimenti effettuati senza considerare il parametro di efficienza quale presupposto di apprezzabilità dei medesimi). E seppur potrà valutarsi, come in ogni gara, l’apprezzamento della capacità tecnica pregressa dei partecipanti “anche tale valorizzazione, non potrà tradursi in una sorta di sostanziale preclusione dell’accesso al settore di nuovi operatori”.

E per chi ha dei provvedimenti che autorizzano la concessione passati in giudicato?

Si è già detto che l’eventuale giudicato che abbia riconosciuto il diritto alla proroga non attribuisce un diritto incondizionato alla continuità del rapporto, dovendosi viceversa ritenere che la parte del rapporto non coperta dal giudicato sia esposta alla normativa comunitaria.
Secondo la Plenaria, “i rapporti concessori oggetto di eventuali giudicati formatisi sulla normativa in esame (in particolare l’art. 1, commi 682 e 683, legge n. 145 del 2018, che dispone la proroga automatica e generalizzata fino al 31 dicembre 2033 delle concessioni demaniali in essere), successiva alla sentenza Promoimpresa della Corte di giustizia, necessitano di essere regolamentati tenendo conto, da un lato, del portato tipico dell’autorità di cosa giudicata e, dall’altro, delle implicazioni derivanti dalle modifiche normative (cui sono equiparate le sentenze della Corte di giustizia) successivamente intervenute a disciplinare il rapporto”.

E ciò in quanto la sentenza del 2016 detta principi a cui la Legge del 2018 inopinatamente continua a ignorare,

Dette circostanze inducono a ritenere che, anche rispetto ai rapporti oggetto di sentenza passata in giudicato favorevole per il concessionario, gli effetti della non applicazione della normativa in esame si produrranno al termine del periodo transitorio sopra illustrato. Ne deriva che i giudicati favorevoli per il concessionario formatisi sulla normativa in esame cessano di disciplinare il rapporto concessorio a far data dalla scadenza del periodo biennale indicata dalla Plenaria.

(1) Il virgolettato è tratto da www.giustizia-amministrativa.it