L’interessante caso in tema di stabilizzazioni finisce al TAR. Il Giudice Amministrativo accoglie la tesi dell’Avvocato Santi Delia e nega il risarcimento di oltre 300.000 euro richiesto dal ricorrente.
Il caso riguarda una peculiare ipotesi di stabilizzazione che la Legge aveva riservato ai dipendenti pubblici in comando presso un’Amministrazione diversa da quella di assunzione.
L’art. 6, secondo comma, del decreto legge n. 36/2022, convertito in legge n. 79/2022, difatti, stabilisce che i comandi o distacchi del personale non dirigenziale in corso alla data di entrata in vigore del decreto sarebbero cessati il 31 dicembre 2022 o alla loro naturale scadenza, se successiva, qualora le Amministrazioni non avessero attivato le procedure straordinarie di inquadramento di cui al terzo comma. Ciò vuol dire che le Amministrazione potevano procedere alla stabilizzazione e, in questo caso, il dipendente in comando si era dichiarato disponibile all’applicazione in proprio favore dell’articolo senza che la su istanza trovasse accoglimento.
L’Amministrazione, però, non aveva ritenuto di beneficiare di tale possibilità.
Egli allora decise di adire il T.A.R. ritenendo che l’Amministrazione fosse obbligata ad assumerlo.
Il TAR, invece, abbracciando la tesi difensiva dell’Avv. Santi Delia, ha ritenuto infondato il ricorso spiegando che non sussiste alcun un obbligo di stabilizzazione in capo all’Amministrazione essendo quella prevista dall’art. 6, terzo comma, del decreto legge n. 36/2022, una mera facoltà che rientra nella Sua discrezionalità. Più in generale anche per la più nota stabilizzazione “Madia” non vi è mai un obbligo per l’Amministrazione di ricoprire i posti vacanti in organico assumendo a tempo indeterminato o stabilizzando.
Certo se la PA preferisse bandire un nuovo concorso anziché stabilizzare questo potrebbe essere diversamente valutato ma se decide di non coprire quel determinato posto, nonostante sia vacante, non vi è obbligo alcuno.
L’Amministrazione, in questo caso, aveva proprio optato per assumere, con l’istituto di utilizzo del personale di altro ente ai sensi dell’art. 23 del Contratto Collettivo (c.d. scavalco condiviso) indicando, giudizialmente, le ragioni che giustificavano il ricorso all’istituto con esplicito riferimento alla “migliore realizzazione dei servizi istituzionali” e al conseguimento di una “economica gestione delle risorse”. In tal senso il T.A.R. ha ritenuto che tali argomenti, per quanto spesi dal legale solo in giudizio e non in fase procedimentale, sono implicitamente ed ineludibili “sotto il profilo logico, in ordine alla sottesa decisione di non attivare la procedura straordinaria di cui all’art. 6, terzo comma, del decreto legge n. 36/2022, convertito in legge n. 79/2022”.
“La scelta di utilizzare personale condiviso in convenzione (…), in luogo di attivare la procedura straordinaria di inquadramento, risponde ad esigenze funzionali e finanziarie che non possono essere sindacate (…) in difetto di prova compiuta in ordine alla sua obiettiva e indiscutibile irragionevolezza”.
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