Stabilizzazioni precari: la “Madia” si applica anche ai lavoratori già di ruolo presso altre Amministrazioni.

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Dopo le decisioni del Tribunale di Messina, anche quello di Palermo ha dichiarato l’illegittimità della decisione di un’Azienda Sanitaria, di non procedere alla stabilizzazione dei lavoratori precari da oltre 3 anni, in quanto già di ruolo in altra Azienda.

Secondo il Tribunale, “la finalità della norma, non può condurre di per sè, e dunque al di là di un’espressa previsione normativa in tal senso, a richiedere un ulteriore requisito per la stabilizzazione dei lavoratori in possesso dei requisiti espressamente previsti dalla Legge, anche perchè anche il “superamento del precariato” non riguarda soltanto il profilo soggettivo del lavoratore (peraltro indiscutibilmente precario nell’Amministrazione che procede all’assunzione), ma anche il profilo oggettivo dei rapporti di lavoro instaurati dalle amministrazioni per svolgere la propria attività lavorativa (anch’essi evidentemente precari)“.

La decisione fa seguito alla prima di merito a livello nazionale del Tribunale di Messina che, aderendo alle difese dell’Avvocato Santi Delia, aveva ulteriormente fatto notare che  “una diversa lettura dell’art. 20 d.lgs. 175/2017, d’altra parte, conclude il Tribunale richiamando le difese spiegate dal legale, “contrasterebbe con i principi di pari opportunità e non discriminazione, sottesi al principio di uguaglianza, di cui al capo III della cosiddetta ” Ca. di Nizza “, alla quale nel 2009 – con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona – è stato conferito lo stesso effetto giuridico vincolante dei Trattati; a sua volta la Direttiva 1999/70/CE, che esclude ogni discriminazione dei lavoratori a tempo determinato rispetto a quelli a tempo indeterminato, è stata ritenuta interpretabile in modo tale, da escludere anche ” discriminazioni alla rovescia “, rapportabili a normative che assicurassero vantaggi al personale precario, a scapito dei diritti dei lavoratori stabilizzati“.

La questione della platea degli esclusi dalle stabilizzazioni, aveva frontalmente investito tutte le Amministrazioni impegnate in tali procedure e, in particolare, quelle sanitarie che, grazie ai fondi emergenziali COVID-19, avrebbero potuto attivare e concludere le procedure anche a favore di tali soggetti. Già formati da anni di lavoro precario e pronti a fronteggiare l’emergenza invece di ricorrere a concorsi che, la stessa pandemia da fronteggiare, non consente di attivare.

Una posizione, come accennato inaugurata in sede cautelare collegiale dal Tribunale di Messina, che alimenta l’ancora aperto dibattito circa la corretta interpretazione delle norme su cui, lo stesso Consiglio di Stato, è recentemente tornato nel mese di dicembre 2020 ma, questa volta, aderendo alla stessa tesi del Tribunale in commento. Secondo la Sesta Sezione, difatti, appare “contra legem la previsione del bando, in base alla quale sono ammessi alla procedura selettiva per cui è causa i soli candidati che non siano titolari di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato presso una pubblica amministrazione, escludendo quindi coloro che, pur essendo in possesso dei requisiti previsti dalla normativa primaria e dal medesimo bando, siano titolari di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato presso un’altra amministrazione“.